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editoriale febbraioFEBBRAIO 2022.

Era iniziata giusto due anni fa, sempre nel mese di febbraio, quando termini come pandemia, terapia intensiva o quarantena erano ancora sconosciuti ai più, oppure avevano un significato poco chiaro… Località come Codogno e Vo’ sui Colli Euganei, erano abbastanza difficili da localizzare, e da identificare sulla carta geografica. Oggi, quello stato di guerra non è cessato, e nemmeno lo stato di emergenza, con tutte le misure di protezione collegate. Siamo però molto più tranquilli, anche un po’ rassegnati a una diversa normalità, mentre leggiamo dati ancora drammatici che sono diventati, inevitabilmente, di routine, dopo più di due anni, anestetizzati da mesi e mesi vissuti in compagnia del virus; dopo oltre 150.000 vittime in Italia e, ad oggi, quasi sei milioni in tutto il mondo, che ne fanno il più grande evento nefasto dalla Seconda Guerra Mondiale, quando i caduti su tutti i territori del conflitto furono dieci volte tanto, sessanta milioni. Come in tutte le guerre, oltre alle vittime, s’inizia oggi la conta dei danni e, come sempre in queste occasioni, accanto a chi ha avuto danni pesanti e a chi ha dovuto alla fine alzare bandiera bianca, dopo mesi e mesi di chiusure, divieti e protocolli restrittivi, c’è anche chi ne ha approfittato per speculare o, nella migliore delle ipotesi, appropriarsi di ristori, sostegni non dovuti, o per ottenere la cancellazione di debiti e pagamenti pregressi, che nulla avevano a che fare con il Covid… Se questa guerra sembra in fase di spegnimento, magari in attesa di una ripresa del virus, si spera in una forma molto più lieve, nel prossimo autunno, un’altra guerra, purtroppo, sembra annunciarsi in questi giorni, nella speranza di una smentita che in questo momento appare però difficile. A meno di duemila chilometri da qui, Russia e Ucraina riaccendono tensioni che sembravano appartenere all’epoca della Guerra Fredda e che, invece, anche dopo la caduta del Blocco Sovietico, già avevano causato la tragedia dei Balcani, nei primi anni ’90 del secolo scorso. A dimostrazione di come la storia si ripeta sempre uguale a se stessa, i primi colpi sono stati sparati, incredibilmente, contro una scuola. Le immagini dell’asilo di Stanytsia Luhanska, nella regione del Donbass, bombardato dai russi, hanno fatto il giro del mondo. Impossibile, per noi, non notare i palloni dentro gli armadi e per terra, in mezzo alle macerie del salone, le cui mura sono crollate sotto i colpi del mortaio. Per una fortunata circostanza, la scuola in quel momento era vuota, e il crollo, stavolta, non ha fatto vittime. Inevitabile, alla fine, non collegare l’evento con tanti altri già vissuti in passato, dalla strage del mercato di Sarajevo, nel 1994, a quella della scuola di Beslan, nel 2004, in Cecenia. Sono gli stessi massacri del bombardamento della scuola di Gorla, a Milano, durante la Seconda Guerra Mondiale, perché non esistono mai tempo e luogo che siano al riparo dal pericolo di un ritorno di questo orrore. Si è parlato anche di un inizio dei combattimenti, che sarebbe giunto alla fine della “Tregua Olimpica”. Peccato che questa tregua, ormai, non esista nemmeno più… Ci sono stati anche episodi rassicuranti, come spesso lo sport sa fare, e proprio alle Olimpiadi Invernali, come l’amicizia fra Ilia Burov e Oleksandr Abramenko, uno russo, l’altro ucraino, accomunati dalla gioia per la vittoria e vicini e sorridenti sul podio di Pechino. Ci sono poi i doppisti Denys Molchanov e Andrej Rublev, separati dagli stessi confini, uniti però per giocare insieme sul campo da tennis. Esempi virtuosi, che purtroppo vedono dall’altra parte la pietosa sceneggiata dell’esibizione della pattinatrice russa Kamila Valieva. Prima gravemente sospettata di doping, poi riammessa fra mille pressioni, inimmaginabili anche per un’atleta molto più grande di lei. Infine, protagonista di un’esibizione catastrofica, fuori dal podio a raccogliere l’odio delle compagne di squadra e dei dirigenti della sua squadra nazionale. Le immagini della sua allenatrice Eteri Tutberidze che la distrugge letteralmente dopo la prova, hanno fatto il giro del mondo, tenendo presente anche e soprattutto che si tratta di una ragazzina di quindici anni. Dopo pochi giorni, Kamila è rientrata nel sistema, professando comunque piena fiducia e devozione verso il suo staff… I valori dello sport e quelli della società civile sono allo stesso tempo importanti e fragilissimi. A noi il compito di conservarli e tramandarli. Perché lo sappiamo: dov’è il moderno campo di battaglia? E’ ovunque.       

Andrea De David

presidenza@csibologna.it

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