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gennaio 2023GENNAIO 2023.

Con Gianluca Vialli, se n’è andato tutto un mondo, questo è sicuro. Esagerato? Proprio no, finisce con lui un modo di vedere lo sport, il calcio e tanti altri aspetti della vita, che per una generazione almeno, quella dei nati fra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’80, ha rappresentato qualcosa di unico e irripetibile. E in quel qualcosa, Luca c’è sempre stato. Con il suo modo di fare simpatico e beffardo, umile e sbruffone al tempo stesso, simpatico e inimitabile. Uno dei pochi campioni per cui tutti abbiamo fatto il tifo, così come per la sua squadra, per la sua maglia dai colori blucerchiati. Dicevamo, un modo diverso di intendere lo sport… E Vialli è stato in questo passaggio il prima e il dopo, il passato e il divenire, come se partendo con lui l’azione, da Gigi Riva il pallone fosse arrivato fino a Cristiano Ronaldo, trovando una sintesi impossibile. Qualche esempio? Vialli nasce in provincia, dal calcio d’oratorio, attraversa tutta la gavetta passando dalla Serie B e poi da piccole squadre. Al termine della sua carriera, tutto questo percorso già non esiste più. Sempre nello stesso periodo, vive la mutazione della Coppa dei Campioni. Non solo nella denominazione. La nuova Champions League, dal 1991, viene giocata con gironi di qualificazione e, dal 1998, ammette più squadre per nazione, non più solo la vincitrice del campionato, stravolgendone struttura e significato, in attesa della prossima Super Lega. Ancora, nel 1993, in piena era Vialli, l’emittente Tele+, nata poco tempo prima, inizia a trasmettere, a pagamento, una partita del Campionato di Serie A in diretta. È l’inizio di un nuovo spettacolo: il calcio, da allora, diventa un evento quasi esclusivamente televisivo, con partite a ogni ora del giorno, che moltiplica i ricavi e allarga ancora di più il divario fra le diverse società sportive. Vialli cresce nella Serie A, quella storica, con i campioni, gli stranieri (pochi per squadra) di grande valore, la Nazionale al di sopra di tutto. Arriva poi la Legge Bosman, e siamo nel 1995, e cambia il mondo: i vivai iniziano chiudere, gli stranieri, spesso di livello infimo, imbottiscono le formazioni e le panchine, le grandi squadre iniziano a vincere tutti i campionati, nessuno escluso, e non smetteranno più; è arrivato il calcio moderno. E potremmo proseguire a lungo. Gianluca Vialli, proprio per questo, ha rappresentato la natura stessa del calcio, quello storico e quello moderno, quello romantico e quello mediatico. Prova ne è che tutti (o quasi tutti) lo hanno ricordato esclusivamente per lo Scudetto del 1991, un gruppo di ragazzi in maglia blucerchiata, giovani e inattesi, un trofeo unico e l’ultimo nel suo genere perché, purtroppo, non ne vedremo più uno così bello. Molto meno in maglia Juventus, quando pure, da leader e capitano, ha alzato una altrettanto storica Champions League. Tante sono state le maglie di Luca, da quella azzurra della Nazionale, a volte sfortunato protagonista in campo (molto meglio con la giacca da dirigente, nella vittoria nell’ultimo, inaspettato e poi, purtroppo, profetico Europeo del 2021) a quella blu del Chelsea di Londra, pioniere anche in quest’occasione del ruolo del campione (vincente) da esportazione. Da quella, appunto, bianconera, alla maglia blucerchiata definita, anche grazie a lui, “la maglia più bella del mondo”, fino all’altrettanto elegante grigiorosso della sua Cremonese, incredibilmente ritornata in Serie A proprio in questa stagione. Ma se si potesse tornare alle origini, sotto sotto, Gianluca potrebbe mostrare un’altra divisa, quella della sua prima squadra, là dove tutto è iniziato. Quella dell’Oratorio di Cristo Re, a San Bartolomeo di Grumello, dove, ma pochi lo hanno scritto, esordì il piccolo Gianluca, nei Campionati del CSI e lì dove, nei giorni della scomparsa, è stato ricordato dai parenti e dagli amici, che lui non aveva mai dimenticato. Possibile, nel calcio moderno, ricordarlo anche e soprattutto per questo, con la maglia e nel luogo dove tutto è nato? Pur nella ricchissima e iper-mediatica NBA, il torneo sportivo più importante del mondo, la franchigia di Detroit scenderà quest’anno in campo, abbandonando temporaneamente il bianco-rosso-blu dei Pistons, con un’inedita divisa di colore verde. Il verde del linoleum del pavimento delle palestre degli anni ’70 e ’80, che molti ancora oggi ricordano. Ma, soprattutto, il colore delle vecchie pareti di Santa Cecilia, una palestrina scalcinata, nel retro di una parrocchia che si trova nel cuore del quartiere più povero e problematico della città di Detroit. Un punto di aggregazione che ha salvato la vita e insegnato la pallacanestro, per decenni, a migliaia e migliaia di ragazzi del quartiere, fra cui grandi campioni della NBA come George Gervin, Derrick Coleman, Chris Webber e, soprattutto, un certo Earvin “Magic” Johnson. “Where Stars are Made, not Born”, qui dove campioni non si nasce, si diventa. Questa la scritta sul fondo della palestra, questa la scritta che in questa stagione campeggia sulle loro maglie.     

 

Andrea De David

presidenza@csibologna.it

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